Nella prima parte di questo articolo abbiamo analizzato le carenze principali all’origine della crisi del nostro sistema industriale.
Poiché l’efficacia di ogni terapia è legata alla precisione della diagnosi, vale la pena di insistere per comprendere da dove origini questa situazione apparentemente sorprendente dopo lo sviluppo straordinario degli anni ’50 e ‘60.
Una rapida analisi storica a partire dal Rinascimento è di grande aiuto.
Non si fa retorica se si afferma che Galileo Galilei è stato l’attore più significativo della rivoluzione che segnò non solo il superamento della cultura scolastica. Egli intuì anche, insieme all’inglese F. Bacone, le capacità potenziali della nuova scienza e del metodo sperimentale come strumento per lo sviluppo materiale della società. Furono così messe le premesse per lo sviluppo della futura società scientifica e tecnologica che in poco più di tre secoli ha mostrato possibile la liberazione dell’uomo dai vincoli millenari della fame, delle malattie e della fatica e fa intravedere oggi un nuovo balzo verso la società fondata non sul possesso di beni materiali, ma sulle conoscenze e capacità intellettuali. E siamo solo agli inizi.
Lo sviluppo di queste premesse fù molto diverso nei diversi paesi e se continuiamo a seguire i nostri due -filosofi della natura- vediamo l’inglese Bacone divenire capostipite di una scuola fertilissima che con Newton, Faraday, Maxwell e tanti altri diede vita a quella che sarà chiamata la fisica classica e con Darwin originò le nuove teorie dell ‘Evoluzionismo, per citare soltanto alcuni personaggi ed eventi di maggior rilievo e di grande influenza sulla nuova cultura europea.
Per l’italiano Galileo, invece, la strada risultò subito chiusa e di fronte al macigno dell’Inquisizione di Urbano VIII fu costretto a piegarsi e a ritrattare, non certo per debolezza di carattere o incertezza di convinzioni. Lo sviluppo della «nuova scienza»·fu interrotto e bisognerà attendere gli anni trenta del Novecento per avere in Italia la prima scuola scientifica di rilievo mondiale, con Enrico Fermi e la fisica delle particelle. Naturalmente nel frattempo le persone geniali sono continuate a nascere in Italia come altrove e basterà citare Luigi Galvani, Alessandro Volta, Guglielmo Marconi, ecc. ma sono stati casi isolati, praticamente ininfluenti sulla cultura ufficiale; lampi che non potevano segnare e condizionare il panorama culturale ed economico europeo..
Conseguentemente in Italia non nacque alcuna scuola scientifica e la cultura italiana rimase ancorata ai canoni e ai valori rinascimentali, mentre la rivoluzione delle macchine nata in Inghilterra a metà del Settecento diveniva rivoluzione industriale all’inizio dell’Ottocento e l’incontro con l’Illuminismo francese faceva nascere la ricerca tecnico-scientifica modernamente intesa.
Tutto ciò è storia, ma resta da spiegare perché, con una Chiesa anch’ essa indebolita dallo scontro con la «nuova scienza» dilagata in tutta Europa e obbligata a una maggiore tolleranza, dopo un secolo e mezzo di Stato Unitario, nato su basi fieramente laiche, la debolezza della nostra cultura tecnico-scientifica sia continuata fino ai tempi nostri.
Certamente i condizionamenti politici hanno ostacolato l’inserimento del nuovo Stato unitario nelle grandi corrente innovative che hanno percorso l’Europa dell’Ottocento, ma non si può non sottolineare la profonda insufficienza del ceto intellettuale indifferente alle nuove prospettive dello Stato laico e incapace di qualunque recupero del ritardo culturale ereditato dal conflitto religioso, dalla frantumazione politica ereditata dalla dominazione straniera. Mentre negli altri nuovi Stati nazionali europei si.manifestava una attiva partecipazione di nuovi ceti intellettuali che davano autonomi e originali contributi allo sviluppo della nuova cultura, in Italia la classe intellettuale pur nella situazione di relativa indipendenza assicurato dallo Stato unitario rinunciò a esercitare una funzione di avanguardia e stimolo preferendo continuare ad attendarsi all’ombra del nuovo potere e nelle nicchie del privilegio. È un fatto che la cultura del primo. secolo dello Stato unitario è stata egemonizzata dall’idealismo di Croce e Gentile e dall’ estetismo decadente di D’Annunzio, e come in passato la «nuova scienza» è rimasta scarsamente impegnata nello sviluppo del paese. Arriviamo così ai tempi nostri, in una situazione di grave dissociazione schizofrenica tra sistema di valori e mezzi per realizzarli.
Si è prolungata e progressivamente aggravata a livelli ormai insostenibili una crisi sociale causata dalla contraddizione di una cultura incentrata totalmente su valori letterario-giuridico-religiosi che ignora e rifiuta la cultura scientifica e la contemporanea pretesa di percorrere la strada del benessere che solo la Scienza e la Tecnica possono assicurare. Pensare di gestire una moderna società con una economia industriale fondata su produzioni tecnologiche continuamente soggette a innovazioni profonde, coinvolta in una economia globalizzata sulla base di una cultura con valori sostanzialmente fermi ai valori rinascimentali appare sempre più non un errore ma un atteggiamento irresponsabile.
Si crea una situazione di crisi strutturale con difficoltà ormai insostenibili sia nel settore particolare qui trattato della ricerca tecnologica innovativa che in quello più generale dello sviluppo del paese e, a ben guardare, dello stesso equilibrio dello Stato democratico.
Lo scollamento tra valori e strumenti per realizzarli e cioè, per un paese moderno, tra ideologia, scienza e tecnologie ha sempre portato a crisi e decadenza; come sta avvenendo da noi. Tutto ciò mentre nei paesi industrializzati avanzati si cercano di definire i nuovi equilibri da mantenere nella moderna società della comunicazione, dell’informatica e delle professioni di altissimo contenuto intellettuale che caratterizzeranno la società del XXI secolo.
Le difficoltà che incontriamo in questi giorni nella definizione di regole condivise su alcuni problemi di bioetica che hanno trovato definizioni non laceranti negli altri paesi avanzati è un segnale esplicito della crisi di insufficienza culturale acuta verso in cui ci muoviamo.
In questo quadro è evidente come la Ricerca Scientifica sia un indicatore perentorio di una malattia che richiede uno sforzo di grande respiro. Non basta costatare (a posteriori) che senza ricerca il paese non cresce economicamente, ma bisogna riconoscere una volta per tutte che la conoscenza scientifica di cui la ricerca è la manifestazione più esplicita e avanzata è parte determinante della cultura e pertanto non soltanto mezzo per creare benessere materiale ma strumento culturale primario che realizza per la prima volta la libertà dal bisogno generalizzata attraverso una moderna comprensione del mondo.
Eravamo partiti dalla scarsità dei mezzi a disposizione per spiegare l’arretratezza della nostra ricerca e abbiamo scoperto che guardando a fondo questo ritardo ha cause piu profonde e difficili. E necessario esaminarle francamente e affrontarle con “spirito laico” se non si vuole guastare e perdere la grande opportunità dell’integrazione euroeea. È una sfida soprattutto per la classe dirigente e in particolare per il ceto intellettuale. Gli italiani, come sempre è accaduto, hanno risposto positivamente. È tempo che anche il suo personale dirigente si mostri all’altezza della sfida.
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