La ricerca per l’innovazione tecnologica parte 1

Il risanamento finanziario e l’entrata nell’Unione monetaria ha consentito di tornare a concentrare l’attenzione sullo Sviluppo, malato cronico dell’ economia italiana negli ultimi venti anni. Tra le tante componenti che concorrono a questa “malattia” la ricerca si caratterizza come elemento di particolare debolezza tanto da costituire ormai, anche se considerata isolatamente, un freno determinante per la crescita del nostro sIstema economico.
Nel momento in cui si realizza un più alto livello di integrazione del nostro sistema nella Comunità Europea si apre uno scenario di opportunità ma anche di sfide che ripropongono con forza l’urgenza di uscire da questa depressa situazione. Anche in vista di un adeguamento delle strutture di ricerca pubbliche si è aperto un dibattito e gli interventi non sono mancati  ma, anche in questa occasione, continuano a rimanere in superficie limitandosi, in buona sostanza, al ripetuto lamento sulla limitatezza delle risorse dedicate al settore e dando per scontato che il resto va o andrebbe bene. In poche parole anche in questa occasione di importanza strategica per la sfida posta dall’ aggancio europeo la discussione non ha preso quota e ciò sorprende vista la quantità e qualità dei problemi posti dallo sviluppo del sistema produttivo di un paese moderno e che vuole continuare a esserlo.
Clamorosamente manca una diagnosi approfondita e un dibattito pubblico sulle cause recenti e remote della debolezza della ricerca italiana che sono evidentemente strutturali.
Come si diceva, la scarsità di risorse è un discorso antico, ma molti altri fattori condizionano la ricerca di un paese industriale come: strategie delle priorità, distribuzione delle risorse tra settori avanzati e settori maturi, adeguatezza delle competenze disponibili e piani per il loro sviluppo, collegamenti e capacità di interpretazione delle esigenze del sistema educativo e produttivo, conoscenza della propria posizione nel contesto internazionale, efficienza ed efficacia del management, collegamento e interscambio delle Università col sistema industriale, ecc.

Proprio partendo da queste riflessioni, s’intende qui sottoporre alla discussione un punto di vista particolare: quello di un operatore impegnato a lungo nell’utilizzazione di tecnologie moderne per la realizzazione di impianti industriali e, per un intervallo non breve, diretta­mente nella Ricerca e Sviluppo come responsabile di un importante centro di ricerca. E’ il contributo di un manager industriale che ha vissuto a stretto contatto con le problematiche dell’innovazione tecnologica industriale su entrambi i versanti: quello della creazione della tecnologia innovativa e quello della sua applicazione sul mercato nazionale durante il «miracolo economico» e su quello internazionale successivamente.

La natura sintetica di questa nota mi obbliga a considerare, senza pretese di completezza, pochi punti che appaiono di particolare rilievo come: – la situazione attuale della ricerca italiana, – le cause remote e recenti alla base delle difficoltà che abbiamo,  -i settori prioritari per i quali le esigenze dello sviluppo richiedono una concentrazione degli sforzi, -la natura degli interventi più rilevanti che l’analisi suggerisce.  Naturalmente tratteremo della ricerca tesa all’innovazione tecnologica e non delle tante altre attività che con lo stesso nome sono praticate nelle nostre scuole ed istituti.

La credenza generalizzata che le insufficienze della nostra ricerca derivi principalmente dall’insufficienza dei mezzi disponibili è consolidata anche tra gli addetti ai lavori  ed è diffusa la convinzione che con maggiori mezzi si potrebbe rapidamente recuperare una capacità innovativa diffusa e di alto livello. È una convinzione la cui fondatezza è tutta da dimostrare; anzi, ci sono segnali evidenti che la situazione reale è più difficile.

Una prima semplice osservazione è che a fronte di una spesa intorno al 50% di quella media dei partners europei la nostra produzione di innovazione, comunque misurata (brevetti, processi nazionali utilizzati, bilancia tecnologica, bilancia commerciale dei settori ad alto contenuto di Know­How, ecc.), è ben al disotto di questa percentuale relativa. Ciò pone quanto meno un problema di efficienza e-quindi di sostenibilità economica e utilizzabilità dei risultati. Ma la situazione richiede ancora di più. Negli ultimi 20-30 anni l’industria sia pubblica che privata ha progressivamente ridotto drasticamente le attività di ricerca; pertanto c’è poco da meravigliarsi se oggi si innova poco e quel poco viene in larga misura importato. È un fenomeno esaltato dalla tipologia del nostro sistema industriale, costituito prevalentemente da settori maturi che richiedono prevalentemente  “ottimazione di processo” disponibile in misura crescente e prezzi decrescenti dal mercato globalizzato.
Non è una situazione provvisoria ma sempre più strutturale, causa di circoli viziosi che portano ad una progressiva deindustrializzazione della grande impresa che tende a scomparire come tale. D’altra parte non è ancora nata una ricerca per la piccola e media impresa che sempre più, caratterizza il nostro orizzonte industriale.
Una prima conclusione è che il miglioramento del livello competitivo della nostra economia passa inevitabilmente per una quota significativa dalla ricerca della grande industria. Ciò è già avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra partendo da una situazione ancora più difficile e per quanto oggi appaia difficile il recupero di questa situazione è  possibile. Ovviamente è necessaria la mobilitazione del Paese in tutte le sue componenti, politiche, economiche,  culturali, ecc. Qualunque alternativa più debole e rinunciataria porterebbe al blocco e quindi al collasso del Paese industriale.

Livio Antonelli

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