Nei precedenti articoli di questa serie (parte 1, parte 2), abbiamo analizzato le grosse difficoltà che incontriamo per tenere il passo con le esigenze di una moderna economia industriale.
L’integrazione europea è una grande opportunità ed aiuto per riavviare il recupero e superare le difficoltà che abbiamo analizzato.
Non è la prima volta che ci si presentano situazioni favorevoli analoghe e la massima attenzione va posta per superare i meccanismi di autodifesa della vecchia struttura burocratica che è sempre riuscita sopravvivere ai veri cambiamenti svuotandone i contenuti e riducendoli a semplici operazioni gattopardesche. Spesso nella nostra storia economica quando ci siamo trovati a dover affrontare situazioni e compiti nuovi si è preferito farlo creando strutture speciali ad hoc dotate di autonomia operativa, mantenendo inalterate le strutture e i metoddi di gestioni delle strutture centrali dello Stato.
Il caso più recente e forse più imponente è quello del «miracolo economico» del secondo dopoguerra, quando abbiamo avuto l’ opportunità di utilizzare un insieme di situazioni ed eventi internazionali positivi (l’apertura dei mercati, disponibilità di tecnologie moderne, ecc.) che innestati sulle grandi risorse di lavoro disponibili hanno permesso al nostro paese la realizzazione della sua rivoluzione industriale recuperando il ritardo di un oltre un secolo rispetto ai paesi dell’Europa centro-settentrionale. Si avviò un forte sviluppo economico a cui lo Stato partecipò ricorrendo a strutture parallele autonome con ampie libertà e indipendenza operativa. Con l’Eni si ricercarono nuove fonti energetiche e si creò una moderna chimica allineata con le più avanzate nel mondo; con il rilancio della Finsider, società dell’IRI creato anch’ esso in passato per scopi analoghi, si soddisfò la necessità di acciaio; con l’Enel si elettrificò il paese, la Olivetti di Adriano Olivetti impostò un avanzato centro per lo sviluppo della nuovissima area dei calcolatori elettronici realizzando su scala industriale senza saperlo il primo calcolatore da tavolo poi,abbandonato e ripreso in America è diventato il moderno PC, ecc. ecc. .
Le strutture e la cultura di gestione dello Stato rimasero immutate e i risultati raggiunti, anche brillanti, non sono stati assimilati dal nostro sistema economico né lo Stato aveva maturato le capacità e le competenze necessarie per gestire efficacemente sistemi nuovi e complessi. Gran parte dei nuovi settori una volta esaurita la fase di boom sono stati ridimensionati e le produzioni più avanzate in grande misura abbandonate. Interi settori della chimica, punto di forza di tutti i sistemi industriali moderni, sono stati dismessi, altri fortemente ridimensionati con perdite patrimoniali immense e riportando il paese nelle condizioni di grave dipendenza dall’l’estero sia per la produzione che per la capacità innovativa di nuovi prodotti fattore strategico vitale per questo settore e i tanti collegati (biologia, nuovi materiali, difesa ambientale, informatica, ecc.). Anche nell’acciaio gran parte degli sforzi sono andati perduti per cattiva gestione. Questo nel settore pubblico dove l’arretratezza dell’amministrazione agisce più direttamente.
Nel settore privato la debolezza del sistema si è manifestata con la grande timidezza a entrare nelle nuove produzioni meno difese dalle tradizionali coperture protezionistiche e più esposte alla concorrenza internazionale. In pratica si sono sfruttate le nuove opportunità per rinforzare le vecchie produzioni. Nessuna iniziativa fù presa nei settori avanzati nei quale rimase solitario lo sforzo dell’Eni nella moderna petrolchimica. E non è un caso che proprio l’Eni, anche dopo il drastico ridimensionamento della chimica degli anni novanta, è l’unica grande società di livello internazionale nata in Italia nell’ultimo dopoguerra.
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